Pronuncia del Tribunale di Bologna in materia di gravi difetti di cose immobili. Presupposti soggettivi e oggettivi della disciplina di cui all’art. 1669 cod. civ.
di Riccardo Traina Chiarini e Edoardo Badiali
Con sentenza n. 25/2018, pubblicata in data 09/01/2018, il Tribunale di Bologna (G.I. dott.ssa Matteucci) ha deciso un contenzioso riguardante l’operatività dell’art. 1669 c.c., sul regime di responsabilità da rovina e difetti di cose immobili.
Con la decisione, che condanna al risarcimento dei danni la società costruttrice e venditrice dell’opera, in favore del Condominio e dei singoli proprietari assistiti dallo Studio, il Giudicante, uniformandosi alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha abbracciato una interpretazione ampia dell’art. 1669 c.c., rigettando la tesi secondo cui la responsabilità graverebbe unicamente sull’appaltatore-costruttore, ed accogliendo il principio (di cui a Cass. n. 9370/2013) per cui la disposizione può essere azionata «anche dall’acquirente nei confronti del venditore che risulti fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore del lavori, indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera, gravando sul medesimo venditore l’onere di provare di non aver avuto alcun potere di direttiva o di controllo sull’impresa appaltatrice, così da superare la presunzione di addebitabilità dell’evento dannoso ad una propria condotta colposa, anche eventualmente omissiva». E si veda anche, tra le altre, la recente sentenza di Cass. n. 632 del 14 gennaio 2014, che oltre a richiamare con approvazione la giurisprudenza precedente precisa che il committente-venditore dell’immobile è quantomeno da considerarsi corresponsabile, unitamente all’appaltatore, quando abbia avuto «una qualche ingerenza, sorveglianza o influenza nella realizzazione dell’opera, come può avvenire, esemplificativamente, quando egli nomini il direttore dei lavori o designi il progettista dalla cui negligenza dipenda, sia pure in concorso con l’appaltatore, il vizio lamentato».
Suddetta norma configura infatti una tipologia di responsabilità extracontrattuale, a presidio di esigenze di ordine pubblico a carattere generale e legate alla necessità di conservazione e funzionalità degli edifici, rivelandosi in tal modo preordinata a tutela dell’incolumità personale della totalità dei cittadini. Simile necessità impone che la responsabilità non possa essere limitata da singole pattuizioni contrattuali, né confinata alla sola ipotesi del contratto di appalto; in ossequio a tali principi tale responsabilità deve essere ritenuta attribuibile anche al costruttore-venditore, in virtù della sua partecipazione diretta nei lavori.
Anche nel caso di specie, conseguentemente, la responsabilità della ditta costruttrice-venditrice è stata ritenuta sussistente sulla base della sua «posizione dominante», tale da permetterle un «considerevole e ramificato potere di direttiva e controllo» sulla ditta esecutrice dei lavori. Elementi utili a valutare la predetta posizione hanno compreso: la nomina, da parte della venditrice, della direzione lavori, alle cui prescrizioni, disposizioni e direttive l’appaltatrice si è conformata nell’eseguire l’opera; la sorveglianza e il controllo della committente al fine di garantire un’esecuzione a regola d’arte dell’opera, sempre per il tramite di suoi funzionari e incaricati; la competenza in capo alla committente del progetto esecutivo dell’opera e del calcolo delle competenze professionali. Tutte queste circostanze hanno contribuito a delineare, «in modo reiterato ed espresso, il ruolo dominante e direttivo che (omissis) intese fermamente mantenere in capo a sé per tutta la durata dei lavori, il che consente di attribuirle la qualifica di costruttore-venditore nei confronti del quale è invocabile l’articolo 1669 c.c.»; e ciò con l’importante precisazione, dal punto di vista meramente processuale – e concordemente con quanto affermato dalla Corte di Cassazione –, che l’onere della prova ricade sulla ditta «spettava a (omissis) dimostrare (al fine di superare la citata presunzione relativa) di non avere mai avuto alcuna concreta ingerenza sui lavori nel corso del rapporto di appalto, né alcun potere di direttiva o controllo, ma essa nulla di specifico ha allegato o prodotto, né si è messa in prova con capitoli specifici sul punto».
Per quanto riguarda, poi, i presupposti oggettivi per l’applicazione dell’art. 1669 c.c., viene naturalmente in rilievo la qualifica di “gravi difetti”, che spetta, secondo il Tribunale – anche in questo caso, in applicazione di quanto dettato dalla Suprema Corte (il riferimento è in particolare a Cass. n. 2238/2012 ed a Cass. n. 4622/2002) –, a quei vizi dell’immobile che «pregiudichino o menomino in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l’abitabilità del medesimo», che «incidano profondamente sugli elementi essenziali dell’opera e che influiscono sulla durata e solidità della stessa, compromettendone la conservazione».
Tale interpretazione dei “gravi difetti” è peraltro in linea con l’esigenza di garantire al titolare del diritto di proprietà il pieno godimento e la disponibilità della res che ne è oggetto. La responsabilità ex art. 1669 c.c. può così configurarsi anche come garanzia a fronte dell’inesatta esecuzione della prestazione consistita in una costruzione immobiliare, dovendosi pertanto escludere dal suo raggio d’azione solamente quelle alterazioni e usure che dipendono dal normale decorso del tempo e che non sono imputabili a mancanze nel corso della costruzione.
A giudizio del Tribunale, dunque, nel caso di specie i difetti riscontrati tanto nelle aree comuni quanto in quelle di proprietà esclusiva dell’edificio condominiale hanno precisamente integrato «gravi difetti che incidono direttamente sul normale godimento delle parti comuni e delle proprietà esclusive e che compromettono la conservazione in buono stato dell’edificio e delle proprietà esclusive», trattandosi peraltro «di difetti che incidono capillarmente e fortemente sulla normale fruibilità di parti esclusive e comuni e che portano a qualificarli come “gravi” ex art. 1669 c.c.».
Di un certo rilievo, inoltre, appare anche il punto della motivazione in cui il Tribunale si è soffermato sull’analisi in merito all’accertamento dei termini decadenziali e prescrizionali previsti dal medesimo art. 1669 c.c., cui era subordinato il diritto di parte attrice. Il dettato normativo prevede infatti che entro un anno dalla scoperta dei gravi difetti il danneggiato faccia pervenire all’appaltatore una apposita denunzia, e che da tale ultimo evento (l’invio della denunzia) decorra l’ulteriore termine, di prescrizione, per l’esercizio del proprio diritto da parte dello stesso danneggiato.
Ebbene, con particolare riferimento al momento della “scoperta”, da parte di colui che rivendica i danni, si legge nella sentenza, in accordo a quanto dettato da Cass. n. 11740/2003 (e ripreso anche da Cass. n. 2169/2011), che «non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo, la conoscenza completa idonea a provocare la decorrenza del doppio termine deve ritenersi acquisita, in assenza di anteriori esaustivi elementi, solo all’atto dell’acquisizione di accertamenti peritali».
Tale indirizzo giurisprudenziale, peraltro, è stato più volte successivamente confermato dalla stessa Corte di Cassazione: si vedano in proposito le sentenze di Cass. Civ. n. 14357/2013 e n. 9966/2014, entrambe le quali sottolineano, dopo aver richiamato la giurisprudenza precedente, come si abbia una conoscenza dei gravi difetti idonea a far decorrere i termini di cui all’art. 1669 c.c. solo quando risulti dimostrata (anche in questo caso, con onere della prova a carico del costruttore o venditore) la piena comprensione dei fenomeni e la chiara individuazione ed imputazione delle loro cause alla data della denunzia, cosa che non può avvenire quando il problema non sia di immediata percezione sia nella sua reale entità che nelle sue possibili cause fin dal suo primo manifestarsi, essendo altrimenti necessario lo svolgimento di accertamenti tecnici per comprendere appieno la gravità dei difetti e stabilire il corretto collegamento causale.
Da ultimo, ancor più recentemente, si veda anche Cass. civ., 4 marzo 2015, n. 4364, secondo la quale «secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, in tema di garanzia per gravi difetti dell’opera ai sensi dell’articolo 1669 c.c., il termine per la relativa denunzia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti, e tale consapevolezza non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause…, non essendo al riguardo sufficienti viceversa manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti…».
Applicando detti principi di diritto, il Tribunale di Bologna è dunque giunto ad affermare che dalla corrispondenza intercorsa tra le parti ante causam, «emerge solo uno scarno elenco di doglianze e fenomeni, non ancora vagliati da tecnici nominati dalle parti o in sede contenziosa: ciò quindi non può essere fatto equivalere a scoperta sicura e completa dei vizi e neppure alla loro ascrivibilità certa» al costruttore-venditore, riscontrando così anche che «il primo momento in cui il CONDOMINIO fu in grado di comprendere appieno dal punto di vista tecnico l’esistenza e ascrivibilità dei difetti a (omissis) corrisponde alla redazione delle due relazioni» del proprio tecnico di parte – sulla base delle quali è stato poi promosso il procedimento per A.T.P. prodromico al giudizio di merito –, e addirittura sottolineando, anzi, l’opportunità di tale modus operandi, rilevando come «prudentemente il CONDOMINIO e per esso i condòmini attesero le relazioni tecniche della geom. (omissis), prima di chiedere formalmente il risarcimento a (omissis); se lo avessero fatto prima, senza pezze giustificative tecniche, avrebbero potuto essere tacciati di superficialità e avventatezza».
È interessante notare, infine, come il Tribunale abbia dato rilevanza anche al fatto che la ditta costruttrice-venditrice, in seguito alle prime segnalazioni da parte dell’amministratore del Condominio, avesse dato la propria disponibilità ad eseguire lavori di ripristino, di cui tuttavia solo alcuni erano poi stati portati a termine, in ciò riscontrando un riconoscimento dei difetti esistenti, che come tale ha riflessi anche sui termini decadenziali e prescrizionali di cui all’art. 1669 c.c., «esonera[ndo] parte attrice dal mettersi in prova sulla denuncia entro il termine di decadenza».
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